Gli anziani: un peso o una risorsa?
Da quando con i nuovi progressi scientifici e tecnologici la vita media si è allungata, con conseguente
aumento degli anziani, nel resto della società si è diffusa sempre di più la concezione che essi siano un
peso, uno svantaggio, un problema. Non che prima ciò non si pensasse, ma ormai, nella maggior parte dei
Paesi “sviluppati”, è andata persa quasi del tutto quell’aura di rispetto e reverenza che, fin dalla tradizione
arcaica, si provava nel relazionarsi con gli anziani.
In praticamente qualsiasi civiltà nel corso della storia, “anziano” era usato come sinonimo di “saggio”.
Saggio perché hai vissuto più di me, saggio perché hai imparato più cose di me prima di me. Saggio perché
sai come funziona il mondo. Quante volte, dal basso dei miei diciotto anni, ho sentito la frase “Capirai
quando sarai più grande”?
Allora come spiegare questa presunta inutilità? Io credo che si sia semplicemente accentuata la spaccatura
tra privato e pubblico. Se all’interno del nucleo familiare sono ancora convinta che gli anziani siano un bene
prezioso da tutelare, pieni di conoscenze che non si imparano da internet o dai libri di storia, dall’altro lato,
purtroppo, c’è poco da fare: ci si ritrova in una società che vuole imparare tutto subito, agire in vista di un
utile immediato, e alla fine è intorno al concetto di “utile” che si sviluppa questa discussione.
In questa nostra nuova, rapida, tecnologica società imprenditoriale, l’utile è ormai esclusivamente
oggettivo e pratico. Si è utili se si appongono miglioramenti concreti alle questioni pratiche di maggiore
importanza. E per fare questo serve possedere quei neologismi inglesi cui ormai abbiamo fatto l’abitudine e
che rappresentano le “qualità ideali” per essere una parte funzionale della nostra società contemporanea:
self-made, quick-thinker, problem-solver. La rapidità è la chiave, fisica e mentale. Ed è ovvio che,
nell’opinione comune, gli anziani qui non hanno posto.
Da ciò, la loro condanna a essere degli “outsiders”, senza lavoro, senza capacità “utili” in quello
sconfortante significato del termine. Il loro valore è determinato ormai esclusivamente dai legami affettivi
che restano loro; nella maggior parte dei casi questi sono costituiti dalla famiglia, e se non si ha nemmeno
la famiglia, allora si scompare definitivamente agli occhi del mondo. Siamo diventati abituati a guardare agli
anziani non più con quella arcaica reverenza, ma con un misto di angoscia, fastidio, condiscendenza e una
compassione che tende alla pietà.
Ciò che abbiamo smarrito negli ultimi tempi, credo, è il coraggio di concedere a noi stessi di fare ciò che è
considerato non utile. E forse è a questo che bisognerebbe puntare: all’accettazione di ciò – e di chi – non è
considerato utile nel concreto e nell’immediato. Dobbiamo forse lasciare che i nostri anziani trascorrano gli
ultimi anni della loro esistenza sentendosi indesiderati, trascurati, dimenticati? Nella mia esperienza ho
conosciuto tante persone anziane – una di questi è la mia nonna materna, che tuttora abita in un paese
dell’Abruzzo che ogni anno diventa più fantasma – che vivono quasi come dei reclusi, bloccati all’interno di
una routine piatta e ripetitiva che maschera soltanto la loro passiva e rassegnata accettazione (unita a una
punta di impazienza) nell’attendere la propria morte. Determinati a farla avvenire all’interno della propria
casa, di quelle mura che per tanti anni sono state l’unico luogo in cui hanno potuto esistere senza doversi
giustificare di qualcosa.
Per queste ragioni, io credo che – oltre all’ovvia vicinanza e supporto necessari al benessere di un anziano –
nel concreto si dovrebbe cercare di incoraggiare i nostri vecchi a ricominciare a vivere davvero, il che
ovviamente non significa necessariamente partecipare a esperienze avventurose, ma anche solo trovare
per loro un passatempo, spingerli a rendere le proprie giornate distinte tra loro e non un loop che li faccia
sentire vuoti dentro.
Qualcuno già lo fa: sono tanti i vecchi che riprendono a dipingere, o a suonare uno strumento dopo la
pensione. Altri sono semplicemente spinti dal desiderio di fare qualcosa di bello, ed ecco allora i progetti di
volontariato, come ha fatto il signore in pensione che aiuta mia madre e i suoi alunni con l’orto scolastico, e
insegna ai ragazzini i nomi delle piante e come curarle, e ha il carattere di un poeta che apprezza la natura
in quanto tale e non come mezzo da sfruttare.
È in questo che gli anziani sono utili, è in questo che possiamo ancora imparare da loro: a non vivere alla
disperata ricerca di un posto nella società sacrificando parti di noi stessi, bensì vivere come fini e non come
mezzi; vivere come persone, come esseri umani prima di tutto il resto.