L’uso della parola “vecchio”

Nell’iconico film Disney “Mulan”, la trama si concentra sull’emancipazione della protagonista, che
trova il proprio posto nel mondo conquistandosi il rispetto dei commilitoni uomini, assumendo un
ruolo nel consiglio dell’imperatore – ruolo fino ad allora negato alle donne – e innamorandosi.
Nella ballata tradizionale cinese da cui è tratto, non c’è nulla di simile.
Tornata a casa come eroina di guerra, Mulan rifiuta tutti gli incarichi e assume di nuovo il ruolo di
figlia. La Mulan cinese non ha nessun avanzamento sociale, né attua una rivoluzione femminista:
quello che fa, lo fa per “pietà filiale” nei confronti del vecchio padre, veterano di guerra che altrimenti
non sopravviverebbe.
Questo è lo xiao, uno dei nuclei fondanti della civiltà cinese. Gli anziani come figure che connettono
il mondo dei vivi con quello degli antenati: persino l’imperatore, che aveva l’autorità per imporre
leggi come “solo io posso guardare verso il sole”, doveva sottostare a questa regola non scritta. Non è
forse un caso che l’Italia sia un Paese “gerontocratico”, considerata l’eredità della pietas romana, che
ha molte somiglianze con lo xiao cinese. Lo stesso ideogramma raffigura un giovane che porta sulle
spalle un vecchio: come dimenticare la figura di Enea?
Un tempo, l’anzianità era venerabile non solo per motivi religiosi, ma anche per altri strettamente
biologici: l’aspettativa di vita era breve, dunque chi infrangeva la soglia dei sessanta era da ammirare.
Oggi, che l’aspettativa di vita media in Italia raggiunge gli 84 anni, è quasi scontato che tutti
invecchieremo. Il vecchio non porta con sé più nessuna straordinarietà.
Questo dato si deve sommare con la crisi economica: perché come tutte le crisi, i suoi risvolti sociali
sono spesso più interessanti di quelli immediatamente pertinenti. I figli con genitori a carico non
possono dedicarsi a loro: anche in una coppia sposata, entrambi i coniugi devono lavorare per
mantenere la famiglia. D’altro canto, mantenere il vecchio genitore in una casa di riposo o affiancargli
una badante costa, e i soldi da dove si tirano fuori?
Il covid non ha fatto altro che peggiorare la situazione: un nonno fragile non può prendersi cura dei
nipoti, anzi l’intero nucleo familiare deve muoversi con più cautela per tutelarlo. Con i lavori sempre
meno pagati e sempre più persone uscite dall’isolamento senza un impiego, a volte la pensione dei
genitori è l’unico mezzo per arrivare a fine mese. Senza contare, poi, l’impatto psicologico che la
quarantena ha avuto sui vecchi: chiusi in casa per il terrore di ammalarsi, senza le conoscenze
tecnologiche per restare in contatto con i propri cari. Secondo un vecchio detto “anche il cervello è un
muscolo” e va allenato soprattutto attraverso il contatto umano.
Mia nonna ha questa abitudine di incontrarsi con le sue amiche al cimitero, o a dire il rosario il
venerdì, o al bar a prendere un buon tè con biscotti, o ancora occasionalmente per un pranzo al
ristorante del paese. Dopo due anni di isolamento completo, senza quasi nemmeno sapere se le tue
amiche stanno bene, e d’altronde si sa, in un piccolo paese le voci girano e si gonfiano per ogni bocca
su cui si posano e mai che degenerino in positivo, insomma dopo tutto questo non si può nemmeno
troppo biasimare se il primo allentamento delle norme è stato per loro un liberi tutti.
Per tutti questi fattori, lo xiao e la pietas e la φιλία verso i genitori si devono cercare con la lente di
ingrandimento. I giovani sono a caccia di lavoro e i vecchi, anche quando ne avrebbero la possibilità,
restano bene aggrappati alle loro scrivanie perché io di sicuro svolgo il mio compito meglio di un
novellino e il capo ha bisogno di me e poi guardami, sono ancora arzillo, cosa farei in casa tutto il
giorno? Tutto per non dire che per molti il lavoro è l’unico elemento della loro vita che li fa sentire
utili, che comprendono bene di non avere futuro come anziano senza denominazione ulteriore, che
staccarsi dal lavoro è come arrendersi al baratro della casa di riposo che è sempre più vicino, sempre
più vicino.
E poi, parliamoci chiaro, andare in pensione non conviene più. Un impiegato medio non riceve
nemmeno mille euro, i prezzi salgono ma così non fanno i compensi, e a questo punto meglio
sfiancarsi fino a quando si è ancora lucidi che rischiare di avere le bollette in arretrato.

Per la prima volta, vecchi e giovani litigano per la stessa cosa, una commedia plautina che però non fa
ridere perché in gioco c’è la sopravvivenza per entrambe le parti, e perciò nessuna delle due si può
biasimare.
I giovani odiano i vecchi perché non si vogliono levare di torno, i vecchi odiano i giovani perché si
sentono sfidati e sanno di non avere chance di successo.
Enzo Bianchi sottolinea nel suo libro le paure più grandi degli anziani: la fragilità progressiva,
l’indebolimento del corpo, anni in preda ad acciacchi più o meno gravi e scanditi da estenuanti
controlli ospedalieri periodici. Questi disagi fisici possono causare la perdita dell’autosufficienza, e un
anziano non potrebbe tollerare di finire in una casa di riposo solo perché le gambe non gli funzionano
più tanto bene, o peggio ancora di trovarsi uno sconosciuto in casa, perché si sa con l’età si diventa
più sospettosi. La solitudine, sia in quanto abbandono dei figli che in quanto morte di sempre più
amici, fratelli, cugini, insomma persone con cui hai passato tutta la vita e senza cui una nuova fase di
questa vita semplicemente non è concepibile, solo un pieno stroncato da un improvviso vuoto.
Sopra tutto, lo spettro della mente in declino.
Non avere il controllo sulla propria vescica è sì imbarazzante, ma perdere se stessi è un tipo tutto
diverso di angoscia. Non avere consapevolezza di cosa ti succederà, perdere anche l’ultima qualità che
ti è consentito avere: la ragione.
Oggi la parola “vecchio” viene censurata, come fosse oscena. Si usano attenuanti come “anziano”,
designazioni come “over 60”, perifrasi come “persona della terza età”, fino a toccare eufemismi
piuttosto imbarazzanti come “diversamente giovane”.
In cinese, il vecchio si chiama lăo (老). Non anziano: proprio il vecchio. Ma la parola viene
specialmente usata nei suoi composti, che non rappresentano insulti o tentativi di sminuire, anzi: la
tigre viene chiamata lăo, così l’insegnante, la guida, il capo, il mentore. Vecchio non come
“decrepito”, “idiota”, ma come “venerando”. Amato e temuto.
Ecco, forse dovremmo vedere la parola vecchio come l’ideogramma lăo, e non come il Caronte
dantesco. Soprattutto, ricominciare a chiamare i vecchi con il loro nome.
Solo nominando le persone si restituisce loro un valore.