La neurologa che allena algoritmi per sconfiggere l’Alzheimer

 È a capo dell’unità di ricerca Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell’IRCCS Ospedale San Raffaele: “Potremo fare grandi cose: la tecnologia cambierà la medicina e lo farà in meglio”

Basta un semplice prelievo di sangue per permettere all’intelligenza artificiale di dirci se abbiamo un’alta o una bassa probabilitа’ di ammalarci di Alzheimer fra 20 anni. Fantascienza? No, è giа realtа. E non siamo in Silicon Valley. In Italia c’è un’isola felice, dove si usano tecnologie avanzate e intelligenza artificiale per studiare e prevenire le malattie neurologiche. Siamo al San Raffaele di Milano. Qui una scienziata di 45 anni dirige un gruppo di ricerca, composto da medici, bioingegneri, informatici, psicologi e fisioterapisti, che allena algoritmi in grado di predire le malattie neurodegenerative prima che si manifestino. “L’Artificial Intelligence fa cose che un medico non riuscirebbe a fare: analizza, in modo automatico e rapido, una grande quantitа di dati. Identifica i primi segnali di una malattia neurologica, come Alzheimer, Parkinson e altre demenze, ma aiuta anche nello sviluppo di nuove terapie e nel monitoraggio dei loro effetti”.

Lei è Federica Agosta, neurologa, capo dell’unitа di ricerca Neuroimaging delle malattie neurodegenerative dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. Autrice di più di 300 articoli scientifici, si laurea in medicina nel 2003, specializzazione in neurologia. Durante la specialitа trascorre un anno negli Stati Uniti, all’Universitа di California, a San Francisco e inizia ad approfondire lo studio delle demenze. Torna e fa un dottorato di ricerca. Qui si avvicina alla tecnologia e alle tecniche avanzate di neuroimaging. “Sono tecniche diagnostiche e di ricerca che consentono di visualizzare la struttura, la funzione e le attivitа del sistema nervoso, in particolare del cervello, in modo non invasivo”.

Nel 2017 Agosta conquista un premio unico in Europa, dedicato ai ricercatori eccellenti. Si chiama ERC, European Research Council, è considerato tra i piщ prestigiosi premi della Commissione Europea. Due i riconoscimenti: una posizione universitaria (Agosta è professoressa associata di Neurologia all’Universitа Vita-Salute) e 1,5 milioni di euro. “E’ una sorta di startup grant per lanciare il proprio gruppo indipendente”. Così la neurologa mette insieme un team multidisciplinare e crea un centro di altissimo livello, che compete con i centri più all’avanguardia del mondo.

Al Milan Longevity Summit, appena conclusosi e che ha attirato nel capoluogo lombardo 60 scienziati tra i piщ noti ed accreditati, Agosta ha spiegato come allena gli algoritmi.

Lavoriamo con tantissimi dati provenienti da tecnologie differenti. Abbiamo per esempio costruito un algoritmo di intelligenza artificiale e con i dati delle risonanze magnetiche del cervello di persone colpite da malattia di Alzheimer, abbiamo insegnato all’algoritmo a riconoscere con quale probabilitа un individuo potrebbe ammalarsi. Poi abbiamo utilizzato lo stesso algoritmo in pazienti con malattia di Parkinson. Oltre alla risonanza magnetica, abbiamo fornito all’intelligenza artificiale altri dati: etа del paziente, i suoi deficit, i suoi esami del sangue…. Risultato?

L’algoritmo capisce la progressione della malattia. Diagnostica che giа c’è e che non c’è ancora e in quanto tempo si verificherа.

L’impatto di queste malattie è enorme. A causa dell’invecchiamento della popolazione, la malattia di Alzheimer rappresenta una patologia in continuo aumento che grava pesantemente sui sistemi socio-sanitari. “Ad oggi, 3 miliardi di persone nel mondo sono affette da una malattia neurologica. Sono dati recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanitа. In Italia 600 mila persone soffrono di Alzheimer. Il numero è destinato ad aumentare oltre il milione e mezzo entro il 2050”.

Attualmente non esiste una cura definitiva. “Sono perт disponibili diversi trattamenti per aiutare a gestire i sintomi e rallentare la progressione della malattia. Ma quello che risulta molto chiaro è, qualunque sarа’ il trattamento a disposizione, l’identificazione precoce della malattia sarа’ cruciale. In questo senso, l’AI potrа svolgere un ruolo fondamentale, permettendoci di analizzare contemporaneamente dati relativi ai fattori di rischio genetici e allo stile di vita, biomarcatori biologici ottenuti con un semplice prelievo di sangue, informazioni sulle performance cognitive ottenute con dispositivi neurofisiologici indossabili, come orologi, anelli, sensori sulle magliette, insieme a dati piщ complessi come quelli ottenuti con tecniche di neuroimaging avanzato”.

Il punto centrale è che il cervello è un organo molto sofisticato. “Così complesso da essere indagabile solo attraverso algoritmi complessi. Lo scopo dell’intelligenza artificiale è proprio quello di semplificarci la vita riuscendo a definire quali sono i parametri più salienti tra milioni di dati”. La qualitа del dato è il punto di partenza. “Noi possiamo elaborare l’algoritmo di intelligenza artificiale piщ sofisticato e migliore al mondo, ma se il dato che abbiamo raccolto è di bassa qualitа, l’intelligenza artificiale non troverа ‘nulla. Inoltre chi raccoglie il dato deve essere formato”.

Ma i medici sono preparati a usare la tecnologia?

“Oggi molte facoltа di medicina e scuole di specializzazione stanno integrando la formazione tecnologica nei loro programmi educativi. I medici partecipano anche a programmi di formazione continua per rimanere aggiornati sulle nuove tecnologie. Le istituzioni sanitarie ne stanno promuovendo l’adozione. Ovviamente alcune sfide rimangono, come la resistenza all’adozione di alcune tecnologie. Quando ho fatto l’universitа, non c’era ancora una grande attenzione alla tecnologia durante il percorso di studi. Abbiamo imparato lavorando a contatto con colleghi ingegneri, colleghi psicologi, studiosi di altre discipline. Sono convinta che l’interdisciplinaritа sia fondamentale. E’ essenziale per massimizzare il potenziale di queste tecnologie e bisogna essere aperti”.

Una storia bella. Che cosa insegna alle nuove generazioni?

“Proprio questo. L’importanza di essere aperti all’innovazione e di abbracciare il cambiamento tecnologico. Le incoraggia a perseguire una formazione interdisciplinare e a sviluppare competenze sia nel campo medico sia in quello tecnologico. L’AI e le tecnologie avanzate offrono opportunitа straordinarie per migliorare la salute e la qualitа della vita delle persone. E le giovani menti creative e appassionate sono fondamentali per realizzare questo potenziale”.

Scienziata, donna, role model, tra i 22 esperti internazionali che hanno unito le forze per stilare le nuove linee guida per la diagnosi precoce della malattia di Alzheimer, appena pubblicate su Lancet Neurology, c’è lei.

“Durante la mia carriera non ho avuto difficoltа in quanto donna, le difficoltа ci sono nel momento in cui lavori in ambiti cosм di frontiera. Ci vuole tantissima passione, ma si fa tantissima fatica. Per arrivare a una posizione come questa devi rinunciare a qualcosa. Devi scegliere. Non avrei immaginato di arrivare fino a qui. Il mio и stato un percorso fatto di giorno in giorno, passo per passo: ho sempre puntato in avanti, l’ambizione ci deve essere, ma poi testa bassa e lavorare”.

E in fondo un’altra grande lezione è che non sempre è necessario andare all’estero. “Al San Raffaele tutto è possibile. I cervelli sono in fuga perchè in Italia non ci sono tanti centri di così alto livello “Sconfiggeremo l’Alzheimer con l’AI? “Potremo davvero fare grandi cose: creare modelli predittivi, identificare nuovi bersagli terapeutici e predire la risposta dei pazienti a determinati trattamenti farmacologici o interventi chirurgici. Accelerare lo sviluppo di nuove terapie e migliorare l’efficacia dei trattamenti esistenti. La tecnologia cambierа’ la medicina e lo farа in meglio…”.